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Il “mostro” di Brindisi, lo scoop (sbagliato) di Ruotolo

Il giornalismo è un’altra cosa. Questa è la prima cosa che verrebbe in mente. Ma sarebbe un pensiero sbagliato. Il giornalismo c’entra indubbiamente ma non fino in fondo. Il vero problema è la competenza. Quella certo è un’altra cosa. Sandro Ruotolo è un giornalista. Ieri ha sbattuto il “mostro” in prima pagina. Un errore? Anche ma soprattutto una mancanza di competenza. Una malattia che rischia di avvolgere l’Italia fino a spegnerla. Il giornalismo potrebbe dare una mano a combattere cause e conseguenze del malanno. Oppure sguazzarci dentro in cambio dello scoop. Che succede però quando chi è a caccia di “scoop” mette in secondo piano l’abc della professione?
 
Una domanda questa da rivolgere a Sandro Ruotolo. Ieri il giornalista di Servizio pubblico ha messo sul proprio profilo twitter nome cognome e volto di una persona in qualche modo sospettata della strage di Brindisi. 40mila follower hanno avuto modo di risalire all’abitazione dell’uomo, di conoscerne il fratello, di leggere le “dichiarazioni spontanee” di un testimone. Poche ore dopo tutto finito. “Non ci sono indagati”. In realtà di indagati per la morte di Melissa e il ferimento delle sue compagne non ce n´è mai stata nemmeno l’ombra.
 
Il giornalismo è prestigioso, questo lavoro è credibile solo se i suoi protagonisti sono “testimoni esperti”. Professionisti in grado di soppesare i fatti e separare le notizie buone dalle “bufale”. A questo serve il setaccio delle indagini. Senza questa dura attività, ogni volta che quest’approccio viene sacrificato sull’altare dell’approssimazione ne va della credibilità dell’informazione. Della prima forza del giornalista. L’altra è l’imparzialità del lettore. Due qualità snobbate da qualche tempo. Non si è testimoni esperti e credibili, se ci si trasforma in postini che ritengono i lettori buche delle lettere.
 
Per un editore molte volte è meglio stipendiare chi vuole lo scandalo a tutti i costi che sostenere chi intende svolgere il lavoro con puntiglio e serietà. Se a rimetterci è la qualità dell’informazione nienete di male. Prioritario è lo scandalo. Un giornalista “killer” che non va tanto per il sottile lo si può sempre usare per “azzoppare” qualche avversario. Con i lettori già addestratati al ruolo di ultrà calcistici. O meglio a una ridicola parodia. E il giornalista? Che fa? Corre affannosamente verso la ghigliottina che gli staccherà la testa.
 
I media, giornalisti e fonti di informazione, danno invece il meglio di sé in un altro modo. Nel 2005 il New York Times scoprì le intercettazioni segrete messe in piedi da Bush e indagò per mesi nel massimo riserbo per valutare cosa e come raccontare, senza mettere in pericolo la sicurezza nazionale. Direttore ed editore del quotidiano furono persino convocati nello Studio Ovale dal Presidente, che intimò loro di non scrivere niente. Non si piegarono e pubblicarono ciò che ritenevano giusto si sapesse, dopo aver vagliato tutto con il metodo, la professionalità e la responsabilità che si richiedono a chi fa il loro mestiere.
 
Uno scoop? Certo ma messo in piedi con criteri di giudizio che a volte sono alla base della rinuncia al sensazionalismo. Sempre il NYTimes nell’ottobre1962 era venuto a sapere dell’esistenza di missili sovietici con testate nucleari a Cuba, in un momento in cui la Casa Bianca era impegnata in una delicatissima (e segreta) trattativa con il Cremlino per evitare un conflitto atomico. Con una drammatica telefonata notturna, il presidente Kennedy riuscì a convincere il giornale a non pubblicare la notizia. Due giorni dopo, Washington e Mosca trovarono l’accordo che salvò il mondo.
 
Si parla spesso della casta politica e delle sue cecità, ei suoi privilegi. Si ricorda la distanza che separa il cittadino dai ceti dirigenti. Si parla meno della malattia, vasta, che affligge l’informazione e i propri compiti. Chiamare i poteri a render conto delle proprie azioni. Abituare l’opinione pubblica non a inferocirsi, ma a capire la realtà, a esplorarne le radici, a cercare rimedi non a tutti i costi sensazionali. Così si potrà tornare a lavorare “con la schiena dritta e la testa alta”. E´ il consiglio di Carlo Azeglio Ciampi.
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